Artoddo
  • Home
  • Re.St.Art4.0 Transantigen 20
  • Galleria Artisti
    • Figurativo
      • Cesare Siboni
      • Edelweiss Pamela Pagano
      • Giuseppe Marziano
      • Giuseppe Fratantonio
      • Gabriella Scopelliti
      • Isabella Meloni
      • Maria Rosaria Iacobucci
      • Michele Cammarota
      • Nicoletta Valler
      • Vincenzo Cali’
    • Non Figurativo
      • Beppe Burgio
      • Gabriella Scopelliti
      • Michele Alfano
      • Salvo Bonnici
      • Stefania Conticchio
    • Digital Art
      • Nicoletta Valler
      • Vincenzo Cali’
    • Happening
      • Salvo Bonnici
    • Installazione
      • Salvo Bonnici
    • Scultura
      • Mimmo Scuderi
      • Santi Bonnici
  • Oddo e lode
  • Focus artista
  • Eventi
  • Chi siamo
  • Contatti
  • Login
    • Registrati
  • Fare clic per aprire il campo di ricerca Fare clic per aprire il campo di ricerca Cerca
  • Menu Menu
Tempo di lettura: 24 minuti

🔍 ZOOM BIENNALE DI VENEZIA 2022

CLICCARE SULL’IMMAGINE

CLICCARE SULL’IMMAGINE

La 59a edizione della Biennale di Venezia apre e fa il pieno di visitatori La mostra, con i suoi 80 padiglioni, sarĂ  aperta fino al 27 novembre

BIENNALE ARTE 2022

IL LATTE DEI SOGNI

La 59. Esposizione Internazionale d’Arte si svolgerà dal 23 aprile al 27 novembre 2022 (pre-apertura 20, 21 e 22 aprile), curata da Cecilia Alemani. “Come prima donna italiana a rivestire questa posizione, mi riprometto di dare voce ad artiste e artisti per realizzare progetti unici che riflettano le loro visioni e la nostra società”, ha dichiarato Alemani.

CURATRICE:

Cecilia Alemani è una curatrice con all’attivo numerose mostre su artisti contemporanei, responsabile e capo curatore di High Line Art, programma di arte pubblica della High Line, il parco urbano sopraelevato di New York, nonché già curatrice del Padiglione Italia alla Biennale Arte 2017.

«La Mostra Il latte dei sogni prende il titolo da un libro di favole di Leonora Carrington (1917-2011) – spiega Cecilia Alemani – in cui l’artista surrealista descrive un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé. L’esposizione Il latte dei sogni sceglie le creature fantastiche di Carrington, insieme a molte altre figure della trasformazione, come compagne di un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano.
La Mostra nasce dalle numerose conversazioni intercorse con molte artiste e artisti in questi ultimi mesi. Da questi dialoghi sono emerse con insistenza molte domande che evocano non solo questo preciso momento storico in cui la sopravvivenza stessa dell’umanità è minacciata, ma riassumono anche molte altre questioni che hanno dominato le scienze, le arti e i miti del nostro tempo.

Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi?
Questi sono alcuni degli interrogativi che fanno da guida a questa edizione della Biennale Arte, la cui ricerca si concentra in particolare attorno a tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra.

«Distribuite lungo il percorso espositivo al Padiglione Centrale e alle Corderie, cinque piccole mostre tematiche a carattere storico costituiscono una serie di costellazioni nelle quali opere d’arte, oggetti trovati, manufatti e documenti sono raccolti per affrontare alcuni dei temi fondamentali della Mostra. Concepite come delle capsule del tempo, queste micro-mostre forniscono strumenti di approfondimento e introspezione, intessendo rimandi e corrispondenze tra opere storiche – con importanti prestiti museali e inclusioni inusuali – e le esperienze di artiste e artisti contemporanei esposti negli spazi limitrofi. Le capsule tematiche arricchiscono la Biennale con un approccio trans-storico e trasversale che traccia somiglianze ed eredità tra metodologie e pratiche artistiche simili, anche a distanza di generazioni, creando nuove stratificazioni di senso e cortocircuiti tra presente e passato: una storiografia che procede non per filiazioni e conflitti ma per rapporti simbiotici, simpatie e sorellanze.»

La Mostra si articolerà tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, includendo 213 artiste e artisti provenienti da 58 nazioni. Sono 26 le artiste e gli artisti italiani, 180 le prime partecipazioni nella Mostra Internazionale, 1433 le opere e gli oggetti esposti, 80 le nuove produzioni.

CLICCARE SULL’IMMAGINE

CLICCARE SULL’IMMAGINE

.

LAGUNA O SAVANA? – SONO ANDATI QUASI TUTTI AD ARTISTE AFRICANE I LEONI D’ORO DELLA BIENNALE DI VENEZIA. VINCE L’AFROAMERICANA SIMONE LEIGH E, PER LA MIGLIOR PARTECIPAZIONE NAZIONALE, LA GRAN BRETAGNA – TRIONFO DEL CONTINENTE NERO, NULLA ALL’ITALIA

.

Vincono l’artista afroamericana Simone Leigh e, per la miglior partecipazione nazionale, la Gran Bretagna. Ha ritirato il premio, in quest’ultimo caso, l’artista afro-caraibica britannica Sonia Boyce . Trionfo dell’Africa. Nulla all’Italia.

l Leone d’oro alla Gran Bretagna è stato consegnato dal ministro Dario Franceschini a Sonia Boyce, «che lavora con altre donne nere e suggerisce un linguaggio contemporaneo in relazione a nuove forme, in particolare il rapporto con tante voci per creare un coro con diversi punti di vista». «Sto cercando di capire cosa mi sta succedendo», ha detto commossa l’artista ringraziando. Il padiglione è stato promosso dal British Council con commissario Emma Dexter e curatore Emma Ridgway. «L’arte consente di immaginare a chi è in grado di immaginare. Ringrazio le donne che alla metà del Novecento hanno iniziato a lavorare a questi progetti».

Il Leone d’oro per il miglior artista della mostra Il latte dei sogni, curata da Cecilia Alemani, andato a Simone Leigh, è stato consegnato dal presidente della Regione, Luca Zaia. Motivazione: «La ricerca persuasiva e monumentale all’Arsenale». Leigh ha ringraziato la figlia «per averla aiutata a diventare una persona migliore».

Il Leone d’argento al miglior artista giovane della mostra d’Arte è stato assegnato al libanese Ali Cherri per le sue «narrative che si separano dalla logica del progresso e della ragione». «Nel ricevere il premio penso ai lavoratori del nord Sudan che mi hanno aiutato», ha detto l’artista.

in Dagospia

  • 1. BLACK VENICE! – RIELLO: “LA CELEBRAZIONE LAGUNARE DELLA CREATIVITÀ ESPRESSA DALLE ETNIE AFRICANE È UN PROCESSO INEVITABILE E FISIOLOGICO. ERA TEMPO DI APRIRE LE PORTE A FRESCHI FLUSSI DI CREATIVITÀ A LUNGO SOTTOVALUTATI, SE NON ADDIRITTURA SNOBBATI.

    LA SORGENTE DEL RINNOVAMENTO NECESSARIO SONO STATI I PROBLEMATICI GHETTI AFRO-AMERICANI E LE AFFOLLATE METROPOLI DEL CONTINENTE NERO

    .

    La LIX Biennale Arte di Venezia ha ospitato numerosi artisti africani (o di discendenza africana) e cosĂŹ hanno fatto anche alcuni Eventi Collaterali. Questo forte interesse etnico, in alcuni visitatori, ha suscitato delle perplessitĂ  (talvolta purtroppo anche accompagnate da commenti non proprio felici ed appropriati) come se fosse una bizzarra novitĂ .

    In realtĂ  il “sistema dell’Arte”, ammesso che si possa tecnicamente chiamarlo cosĂŹ, giĂ  da diversi anni ha focalizzato il proprio interesse sull’Africa. L’inizio potrebbe essere collocato addirittura nel 1989, anno della mostra “Les Magiciens de la Terre” curata da Jean-Hubert Martin al Centre Pompidou di Parigi.

    Ovviamente negli anni recenti il movimento “Black Lives Matter” e il forte e rinnovato interesse degli storici per il colonialismo e la schiavitĂš (soprattutto negli USA) lo hanno portato ad essere il tema per eccellenza di molta curatela artistica. Ma le sue ragioni profonde trascendono la pur martellante e frenetica spinta dei social e le “mode culturali”, sempre volubilmente passeggere. Non è insomma solo una questione di “politicamente corretto”.

    La prima ragione, molto prosaica, riguarda il mercato dell’Arte Contemporanea. E’ molto piĂš facile acquistare in blocco, a prezzi molto vantaggiosi (per chi compera) l’opera di un artista africano semi-sconosciuto e controllarne quindi, di fatto, la gestione sul mercato allo scopo di moltiplicare notevolmente il ricavo finale da parte di gallerie e mercanti (che oggi si definiscono tutti come “Art Advisor”, chissĂ  poi perchè?)

    Insomma in questo contesto etnico è piĂš facile ed economico “costruire” rapidamente la carriera di un/una artista. Esiste inoltre (ed è in crescita) anche un collezionismo africano vero e proprio. Sta emergendo, al di lĂ  del luogo comune del “continente povero”, una classe media con discrete possibilitĂ  di spendere

    CONTINUA A LEGGERE IN DAGOSPIA

  • come di consueto avviene, la maggior parte dei padiglioni nazionali in Laguna, ha, come ormai noto, operato una sorta di riscrittura della storia dell’arte, emancipando e riscattando quei punti di vista e le storie fino a ora rimaste escluse in un panorama governato da una visione patriarcale e occidentalizzante, lasciando quindi quanto meno disorientati la maggior parte di coloro che da quella visione, anche inconsapevolmente, si sono sentiti rassicurati (perchĂŠ si è sempre fatto cosĂŹ) coccolati, o supportati.

    Padiglione USA, Biennale Arte 2022, ph. Irene Fanizza

    Padiglione USA, Biennale Arte 2022, ph. Irene Fanizza

    ….

    Molti accusano la Alemani di aver strizzato troppo l’occhio al politically correct, soprattutto all’immaginario che ci proviene dagli Stati Uniti, Paese che peraltro può per certi versi vantare di aver conquistato il Leone d’Oro conferito a Simone Leigh e nel quale ha costruito la propria vita la curatrice. Ma è evidente che se ha creato e continua a creare tutte queste discussioni, la mostra troppo comoda proprio non è.

    …

    Molti di noi non hanno potuto fare a meno di apprezzare lo sforzo enciclopedico che caratterizza l’intero progetto espositivo, dando voce a una storia dell’arte alternativa. I cinque focus in mostra, su tutti La culla della strega, disseminati tra le due sedi e incorniciati dal bell’allestimento dei Formafantasma, hanno offerto ampi spunti di studio e di ricerca, portando alla luce nomi e vite a volte del tutto sconosciute e offrendo una traccia, una linea, avrebbe detto Longhi, a molte ricerche successive. Ai nomi più noti di Dorothea Tanning e Leonora Carrington abbiamo potuto accostare quelli di Benedetta, Ida Kar, Alice Rahon, per citarne alcuni e imparare qualcosa di più su di loro.

    …

    Dall’altra parte però la cronologia dell’esposizione mostra uno scenario composto da più di sessanta artisti nati tra gli Anni Settanta e Ottanta, una decina di nati negli Anni Novanta, una ventina di nati tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, oltre 80 artisti deceduti e la restante quarantina di nati tra gli Anni Trenta e Quaranta. Una scelta, che però denota, a fare bene i conti, una certa introversione verso il passato, con una buona metà di partecipazione che riscatta artiste che non ci sono più o che presenta opere di maestre ormai storicizzate.

    …

    ’è un po’ la sensazione generale di un sistema dell’arte che nel guardare a valori consolidati si sta cristallizzando in un presente perpetuo e attendista. Non è solo una questione di mercato – anche se la riflessione condotta dai più è stata fatta, anche a causa della presenza massiccia delle gallerie.

    continua a leggere su Artibune a SANTA NASTRO

    2 Una Biennale di riscatto. L’opinione di Santa Nastro

  • 3. Museografica e di ricerca

    LA CRITICA D’ARTE E GIORNALISTA SARA DOLFI AGOSTINI RIPERCORRE LA MOSTRA INTERNAZIONALE CURATA DA CECILIA ALEMANI ALLE CORDERIE E AL PADIGLIONE CENTRALE DEI GIARDINI, METTENDOLA IN RELAZIONE ALLE SCELTE DEI SINGOLI PADIGLIONI NAZIONALI

    .

    Alla 59. Biennale di Venezia emergono due progetti politici e ideologici prima che estetici, ed entrambi offrono un punto di rottura con un sistema dell’arte elitario sotto diverse prospettive, di genere e di rappresentazione. Da un lato c’è Cecilia Alemani, la curatrice della mostra internazionale che già dal titolo – Il latte dei sogni, preso in prestito da un libro di favole della surrealista Leonora Carrington – promette un’azione programmatica di valorizzazione dell’opera di artistә, donne e persone non binarie. Le opere dellә 213 partecipanti stipano pareti e volumi e, per quanto le etichette non riportino i courtesy di gallerie, si candidano a riempire gli stand delle prossime fiere e a riequilibrare una dominazione maschile nel mercato e nelle collezioni internazionali. Per il resto, Il latte dei sogni è una mostra istituzionale dall’impostazione museografica classica e una forte componente di ricerca storica esibita nelle cinque capsule del tempo trans-storiche e t

    Biennale Arte 2022, Latte dei sogni, Corderie, ph. Irene FanizzaBiennale Arte 2022, Latte dei sogni, Corderie, ph. Irene Fanizza

    A cominciare dalle Corderie, dove la progressione è quella canonica, dal naturale all’artificiale, seppure declinata in un universo matriarcale, eco-femminista e mutante, talvolta ripetitivo ma carico di presenze eccellenti. Dalle figure archetipiche di Simone Leigh e Belkis Ayón si passa ai forni-idoli di immaginifiche culture precolombiane di Gabriel Chaile; accanto ai “corpi profughi” dei dipinti di Felipe Baeza si trovano le creature irrequiete di Marianna Simmett, i costumi futuristici di Lavinia Schultz e Walter Holdtz, le figure robotiche pop di Kiki Kogelnik. Poi ci sono le esplorazioni identitarie di matrice Black di Sondra Perry e le presenze artificiali di Lynn Hershman Leeson, fino ad arrivare alle trasmutazioni robotiche viscerali di Mira Lee e a quelle giocose di Geumhyung Jeong.

    Al Padiglione Centrale, il corpo, la sua assenza ma più spesso la sua ibridazione è l’elemento di convergenza tra organico e meccanico. I corpi eterei e poetici di Cecilia Vicuña fanno da contrappunto alla mercificazione sessuale di bambole in rete nella video installazione di Sidsel Meineche Hansen, mentre la compilation di estasi cinematiche di Nan Goldin echeggia nei corpi sospesi di Miriam Cahn. Alemani dispiega mondi interiori, domestici o contenuti in una cornice che raramente si intrecciano con forme di dissenso, realtà politiche e sociali, e il disagio di cui si legge nelle biografie dellә artistә – invisibilità, dolore, esilio, maternità – resta espressione di un universo onirico, a volte statico e speculativo.

    di Sara Dolfi Agostini in Artribune

.

Rileggere il Postumanesimo: una Biennale che incarna i miti del nostro tempo

.

Lasciandosi ispirare dal mondo magico della Carrington, ecco come gli artisti invitati hanno proposto la loro visione post-umana

“Il latte dei sogni” è il titolo di un libro di favole di Leonora Carrington (1917-2011), in cui l’artista surrealista descrive un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altro da sé.

Questo è il titolo che Cecilia Alemani, curatrice della Biennale Arte 2022 ha scelto per la manifestazione che segna la ripartenza dopo due anni segnati da eventi globali funesti.

Nell’impossibilità dell’incontro e dello scambio diretto, Cecilia Alemani ha intessuto per la preparazione dell’evento, una fitta rete di relazioni virtuali portandosi con sé alcune domande che evocano non solo questo preciso momento storico, ma riassumono anche altre questioni in carico alla scienza, alle arti, ai miti del nostro tempo: Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi?

Lasciandosi ispirare proprio dal mondo magico della Carrington, gli artisti invitati (213 artiste e artisti provenienti da 58 nazioni per un totale di 1433 tra opere e oggetti esposti e 80 nuove produzioni) hanno giocato con questi interrogativi per proporci la loro visione post umana.

Il termine post umano indica una progressiva alterazione delle caratteristiche dell’essere umano fino a modificare o a perdere le proprie caratteristiche. Se si lega all’ambito dell’informatica, il postumanesimo si riferisce in particolare alle biotecnologie che vengono concepite come in grado di trasformare fisicamente e mentalmente l’uomo in qualcosa di nuovo, un essere ibrido, umano e non umano.

Nella parte finale delle Corderie, all’interno della quinta e ultima capsula storica voluta dalla Alemani (delle micro mostre tematiche a carattere storico che forniscono strumenti di approfondimento e introspezione, intessendo rimandi e corrispondenze tra opere storiche e le esperienze degli artisti esposti negli spazi limitrofi) una dedica alla figura del cyborg.

Corpi frammentati, figure totemiche, robot dipinti rappresentano quello che le artiste nel corso del Novecento hanno immaginato pensando a nuove combinazioni tra uomo e artificiale. Lavori di Elsa von Freytag – Loringhoven, Marianne Brandt, Karla Grosh, Alexandra Exter, Rebecca Horn e molte altre, creano avatar di un futuro postumano e postgender.

Ma il post umanesimo non si riferisce solo alla sfera di ibridazione tecnologica, ma ha a che fare anche con la definizione stessa di umano e con il concetto di memoria. “All’idea illuminista dell’Uomo moderno – in particolare del soggetto maschile, bianco ed europeo – come fulcro immobile dell’universo e misura di tutte le cose, si contrappongono mondi fatti di nuove alleanze tra specie diverse e abitati da esseri permeabili, ibridi e molteplici”.

Per tutta la mostra, infatti, c’è un aspetto che ricorre: l’aspetto della maternità.

La grandezza di alcune figure femminili, sia scultoree che dipinte, con i loro fianchi larghi e seni prorompenti, fa pensare a questi feticci come a delle moderne Venere di Willendorf (Simone Leigh; Nicki De Saint Phalle). E allora si può immaginare a un futuro che riparte proprio dal grembo, dalla pancia della madre, da Gaia – la Madre Terra, venerata e protetta con maschere rituali gigantesche (Mrinalini Mukherjee; Tau Lewis) o inglobata nella nostra vita. Un invito a ricostruire i pezzi rotti della nostra esistenza. I corpi frammentati, sanguinanti, dolenti (Mira Lee; Geumhyung Jeong), alla vista di queste braccia accoglienti si fanno meno amari da digerire. E diventano così di metalli preziosi, come gioielli (Ambra Castagnetti; Sheree Hovsepian). O delle poesie (Barbara Kruger; Diego Marcon)

Anche gli spazi vuoti sono delle anfore nelle quali non c’è presenza fisica dell’uomo, ma solo delle tracce lasciate nel tempo. Degli scarti che giocano il ruolo di un primo segno sulla pagina bianca, un invito a proseguire il carteggio cominciato (Maria Eichhorn, padiglione  della Germania). Oppure sono respiri e suoni che echeggiano in lontananza, ritmando il nostro passo verso il futuro. Forse ciò che davvero rappresenta il post umano è racchiuso tutto lì: nella capacità di tornare alle radici.

Che sia la cura delle tradizioni indigene e popolari (Cecilia Vicuña), o la riscoperta di ritualità magiche, la scintilla parte dalla volontà di alimentare lo spirito di conservazione che aleggia in ognuno di noi. “Mi apro contro la mia volontà sognando altri pianeti Sogno altri modi di vedere questa vita” Felipe Baeza, 2020

.

in INSIDEART

.

I PADIGLIONI

…rriva al mare, una banchina portuale larga due o tre metri. C’è davvero l’acqua tutto intorno ed essere in tensione fisica aiuta: è buio pesto e non ci sono protezioni, un passo falso e cadi in acqua. Ed ecco che in fondo, nel buio piĂš buio, di vede una lucciola. Poi un’altra, un’altra e un’altra, in un coro silenzioso e sacro. “Darei l’intera Montedison per vedere una lucciola” disse Pasolini. Ecco, Storia della notte e Destino delle comete ha cambiato il corso della storia: ha pagato il riscatto e ha fatto tornare le lucciole. Solo l’arte può riuscire a fare questo.

https://www.instagram.com/p/CcvMmbJo5zw/ Info Info

.

Il Padiglione Italia di Tosatti e Viola, giostra perfetta tra lucciole finte e alta moda

Per trovare nell’arte un “sublime industriale” (chiamiamolo così) di pari effetto, si può tornare fino anche al Settecento e ai quadri dello svedese Per Hilleström, tra i pochissimi dell’epoca a provare queste sensazioni dinnanzi ai fumi d’una fabbrica, oppure ai vapori che avvolgono le strade ferrate di Turner, per non parlare degl’immensi stabilimenti di Adolph von Menzel o di Anders Montan. Tra i contemporanei, per limitare lo sguardo all’Italia, vengono in mente i dipinti di Andrea Chiesi, o le fotografie di Carlo Vigni e di Carlo Valsecchi. Di certo riesce difficile sperimentare gli stessi turbamenti emotivi percorrendo il Padiglione Italia di Gian Maria Tosatti, che pure, stando ai testi del curatore Eugenio Viola, vorrebbe dichiaratamente evocare le ambientazioni della Dismissione di Ermanno Rea. Storia della notte e destino delle comete, questo il titolo del progetto di Tosatti e Viola, è una sorta di viaggio nell’Italia industriale che ripercorre le tappe dell’ascesa e del declino del “miracolo italiano”, per citare ancora dai testi programmatici, offrendo al pubblico la possibilità di calarsi nel contesto di una serie di fabbriche dove la produzione s’è fermata (nella fattispecie un cementificio, un impianto chimico fermo, un laboratorio tessile e un magazzino con gli scaffali ormai vuoti), entrando nell’interno d’un’abitazione abbandonata (tornano quindi gli ambienti cari a Tosatti) con tanto di telefono a muro, piastrelle da appartamento degli anni Sessanta e infissi in alluminio, per terminare davanti a una distesa d’acqua dove, sul fondo, alcune luci s’accendono a intermittenza.

Col Padiglione Italia di Tosatti s’entra invece nel campo della scenografia, della ricostruzione teatrale, del set per il cinema, della simulazione più smaccata. Non si comprende quale sia il senso di una mímesis così penetrante quando la realtà è a portata di mano, quando molti in Italia hanno esperienze dirette di chiusure o fallimenti di fabbriche, quando chiunque può dire d’avere una certa confidenza col paesaggio industriale colmo di stabilimenti dismessi: l’installazione di Tosatti potrà essere un’eccezionale rivelazione per lo scintillante mondo della contemporary art che spesso una fabbrica non l’ha mai vista neanche in cartolina, ma per tutti gli altri la Storia della notte è un’opera che s’ammira in qualunque periferia di qualsivoglia città italiana.

Certo, Tosatti ha avvertito ex post il pubblico circa la presenza di uno dei cosiddetti “cortocircuiti”, per usare un termine caro ai curators, che dovrebbero aprire a letture altre: malgrado la ricostruzione ci riporti nell’Italia degli anni Sessanta (da una radiolina dell’epoca escono anche le note di Senza fine di Gino Paoli: questo almeno durante il tempo in cui chi scrive ha percorso il Padiglione, ma non so se la playlist includa altri brani), i macchinarî che il pubblico incontra sono stati almeno in gran parte ottenuti da aziende che hanno chiuso durante la pandemia di Covid-19. Nell’idea di Tosatti, l’espediente dovrebbe comunicare gli scarsi progressi che l’idea del lavoro ha compiuto in Italia negli ultimi decennî. Evidentemente, se le macchine sono nuove, sfugge all’artista il fatto che per un pubblico di non addetti ai lavori l’aspetto estetico di, mettiamo, un tornio industriale per il marmo di ultima generazione non è così diverso rispetto a quello che poteva avere lo stesso macchinario quarant’anni fa, e dunque è difficile che possa arrivare a cogliere questa sottigliezza chi non ha mai lavorato in fabbrica, e se invece sono d’epoca sfugge il fatto che in certi comparti alcune macchine, se sottoposte a regolari manutenzioni e tenute in ottima salute, hanno cicli vitali anche molto lunghi, oppure possono essere appositamente utilizzate per ottenere prodotti particolari, come fa Diadora che nel 2015 ha rimesso a nuovo vecchie macchine degli anni Sessanta al fine di creare modelli cosiddetti vintage dalla cura quasi artigianale. È dunque un “cortocircuito” che non si può cogliere se non interviene l’artista a spiegarlo, e qui s’innesta quello che appare un ulteriore minus di questo Padiglione Italia, ovvero il fatto che sia un enorme monolite. Il racconto è quello ch’è stato preparato da artista e curatore senza che ci sia possibilità alcuna di deviazione, di lettura su diversi livelli, d’interpretazione: un’unica versione, quella approntata da Tosatti e Viola e da loro somministrata al pubblico chiamato a percorrere la “complessa macchina narrativa esperienziale” (o il “dispositivo”, altro termine particolarmente in voga tra i curatori à la page, qualunque cosa voglia dire) del Padiglione Italia seguendo pedissequamente il filo della narrazione che artista e curatore gli ammanniscono senza richiedere particolare impegno. È vero che l’ermeneutica preconfezionata è oramai comune a gran parte dell’arte contemporanea, ma altrove si può almeno incontrare un poco di poesia.

La messa in scena di Tosatti si pone come ultimo prodotto di una linea che parte dalle pionieristiche installazioni di Edward Kienholz, attraversa gli ambienti di lavoro di Mike Nelson, le ricostruzioni precise e sbilenche di Glen Seator, gli interni disastrati di Christoph Büchel e le “case morte” di Gregor Schneider e, citando in questo caso anche le macchine da cucire di Kounellis, arriva alle tante installazioni immersive che imperversano negli spazî espositivi di tutto il mondo, Biennale di Venezia compresa (varrà la pena rimarcare come Nelson e Schneider avessero già portato nei padiglioni dei loro paesi, la Gran Bretagna e la Germania, rispettivamente nel 2011 e nel 2001, un laboratorio e una casa abbandonata), e si pone pertanto come un’opera puramente manierista. Nel senso letterale del termine, senza dunque implicazioni che abbiano a che fare con le inquietudini che attraversavano i lavori del manierismo cinquecentesco: sintomatico il fatto che la dismissione più potente di cui si possa parlare è quella che Adrian Searle, recensendo la Biennale di Venezia per il Guardian, ha fatto dello stesso Padiglione Italia, respinto in mezza riga senza neanche citare il nome dell’artista, in modo disarmante (“sembra la parodia di un’installazione di Mike Nelson”, ha scritto Searle). Se la scelta di un solo artista per il padiglione nazionale, fatto inedito per l’Italia (e salutato da molti in maniera positiva al momento dell’annuncio: chi scrive però ha sempre ritenuto la scelta di un unico artista troppo limitativa nei riguardi del panorama artistico italiano, e il fatto che altri paesi da anni scelgano un solo nome non è di per sé un buon motivo per imitarli), ha dovuto produrre questo risultato, forse sarà meglio che dal 2024 si torni a proposte più in linea con la tradizione domestica.

Il Padiglione Italiano vorrebbe avere anche un fine pedagogico: diciamo così per non avanzare accuse di moralismo che Tosatti e Viola hanno peraltro rifiutato anzitempo, già durante la conferenza stampa in cui è stato annunciato il titolo del progetto. L’idea è quella di riflettere anzitutto sulla “frustrazione di una classe operaia giunta al capolinea”, che si barcamena tra “sussidî di disoccupazione” e “ricollocamenti difficili”, per poi giungere a respingere una “posizione drammatica” al fine di convogliarne una “propositiva e ottimista”, che affronti la necessità di porre le questioni ambientali “in primo piano nell’agenda politica” e di investire in ricerca e formazione. Ma dov’è la denuncia? E come non rilevare la contraddizione tra le “frustrazioni” della classe operaia e un padiglione costato due milioni di euro, un terzo dei quali garantiti dallo Stato e il rimanente dagli sponsor, tra i quali Sanlorenzo e Valentino (che ha pure organizzato una cena con bouquet floreali alle Tese di San Cristoforo, vicino dunque alle finte rovine di Tosatti, con tintinnio di calici e sfilate di dame eleganti e cavalieri in black tie a margine del progetto che vorrebbe assurgere a simbolo del dramma dei lavoratori), e dunque tra l’intento di denunciare la catastrofe, la miseria, e il gigantismo di una giostra effimera, enorme e costosa finanziata dai marchi del lusso? “La povertà per il popolo, per noi Valentino” ha sentenziato sarcastico Vittorio Sgarbi in un divertente video pubblicato sulla sua pagina Facebook.

Se dunque la pars destruens non tiene, si spera almeno nell’“epifania finale”: confesso d’esser stato probabilmente l’unico a non aver colto il riferimento alle lucciole di Pasolini (e sì che, anche qui, Viola e Tosatti ci avevano preparati in conferenza stampa enumerando puntualmente i loro riferimenti letterarî, lucciole pasoliniane incluse). Sarà che, essendo nato e vissuto sempre sul mare, non ho mai visto lucciole sull’acqua, e le ho dunque equivocate per le comete di cui parla il titolo del progetto, ma poco cambia: in che modo la catarsi garantita dalle lucciole (o comete che siano), peraltro finte, dovrebbe convincere il visitatore ad “affrontare meglio le sfide del futuro”? Usciti dal padiglione, le lucciole finte spariscono: il problema è che la simulazione è talmente evidente, e l’impressione di trovarsi sul set di un film così dirompente, che l’esperienza che Viola e Tosatti vorrebbero attivare, chiamando il pubblico a compiere un “viaggio sensibile all’interno della macchina visiva”, difficilmente si compie. Volendo presentare un esempio familiare a chiunque visiterà il Padiglione Italia, nel paesaggio della giovane Precious Okoyomon, nel quale ci s’imbatte alla fine della mostra internazionale, poco prima d’arrivare alla Storia della notte, s’incontrano farfalle vere, evenienza che rende più labili e smussati i confini dell’esperienza personale del visitatore, risultando così più in grado di spronare la risposta del pubblico. Converrà dunque andare anzi a cercar le lucciole in un bosco o in un giardino. E poi, il racconto di Viola e Tosatti è talmente monolitico e lascia così poco spazio all’autonomia di lettura da parte del pubblico, che riesce difficile farsi domande alla fine di un percorso peraltro privo di qualunque contestualizzazione storica che certo avrebbe tolto carattere all’installazione, dato che l’intento è quello di far attraversare più epoche in un unico spazio, ma avrebbe reso più significativa l’esperienza del pubblico. Se è vero quel che Jacques Rancière scriveva nel suo Le spectateur émancipé del 2008, ovvero che l’identità dello spettatore si costruisce nel divario tra se stesso e l’opera d’arte, e che il vero potere del pubblico sta nella libera possibilità da parte di ogni spettatore di poter esercitare quel “gioco imprevedibile di associazioni e dissociazioni” che innesca l’emancipazione, un processo che comincia quando si comprende che anche lo spettatore in qualche modo agisce, allora si potrebbe dire che il progetto del Padiglione Italia, annullando quasi del tutto l’imprevedibile, riduce anche al minimo le possibilità per il visitatore.

E di sicuro si poteva anche far a meno dell’impalcatura letteraria chiamata a sostenere il progetto: Pasolini viene tirato in causa in modo scolastico, superficiale e fin troppo scontato, e non v’è traccia alcuna della complessità che riempie le pagine della Dismissione di Rea, una storia ben più umana e intima di quella raccontata da Storia della notte e destino delle comete (e, a proposito, a poco vale l’idea di dover compiere da soli e in silenzio l’esperienza, se poi ci si ritrova catapultati tra vicini chiassosi e compagni di viaggio in vena di farsi selfie nello squallore che Tosatti vuole ricreare). Non siamo alla banalità pretenziosa del Padiglione Italia della scorsa edizione, ma neppure serviva evocare capisaldi della letteratura degli ultimi cinquant’anni per giustificare una grande giostra, perfetta per il luna park della Biennale, che ultimamente ha la tendenza a premiare (sia che si parli di critica, sia che si parli delle preferenze del pubblico) le installazioni immersive

di Federico Gianni in Finestre sull'arte
  • I padiglioni da non perdere alla Biennale di Venezia 2002

    La Biennale è un incredibile luna park artistico che pare non esaurirsi mai. L’Arsenale, i Giardini e la città tutta. Venezia in questi giorni d’inaugurazione respira dopo tre anni l’emozione di ospitare nuovamente l’esposizione più importante d’Italia. Un sentimento che la pervade totalmente e coinvolge ogni visitatore

    .

    FRANCIA: Inutile girarci intorno: è il padiglione più chiacchierato, più visitato e con la coda più lunga alle sue porte. Ma cosa c’è dentro? Un set cinematografico uscito dagli anni sessanta. Un tempo in cui Francia, Italia e Algeria erano soliti produrre pellicole insieme. Proprio sulla vicenda post coloniale di quest’ultima si concentra l’esposizione, che vede Zineb Sedira (Parigi, 1963) allestire un ambiente immersivo, dove il visitatore può interagire con gli oggetti di scena e osservare due ballerini eseguire un tango d’altri tempi. Il cinema, presente nei riferimenti a Visconti, Scola e Welles, si ripresenta sotto forma di racconto video del passato coloniale della Francia, della storia dell’Algeria e della storia personale dell’artista. Lei, che ha chiamato il suo progetto “I sogni non hanno titoli”, è però riuscita a restituire visivamente l’intensità del suo vissuto. Tanto personale, eppure incredibilmente universale.

    Padiglione Francia. Foto ArtsLife

    STATI UNITI: Il primo che gli Stati Uniti hanno affidato a una donna nera. Simone Leigh, per la precisione. Che dire? Attese rispettate. Essenziale ma eloquente, semplice ma potente. Poche opere per sala, perlopiù sculture di grandi dimensioni, dominano con eleganza un padiglione che all’esterno si presenta stravolto. La paglia, spesso usata da Leight nelle sue opere, ricopre l’architettura neopalladiana dell’edificio e introduce a quel che custodisce all’interno. Ovvero esattamente ciò che ti aspetti dall’artista, ma sublimato.

    Padiglione Stati Uniti. Foto ArtsLife

    LETONIA: Tra le sorprese della Biennale c’è il Padiglione Lettone. Un clamoroso assortimento di ceramiche stravaganti che ben si allineano al tono surrealista dell’Esposizione. Non c’è il gigantismo con cui solitamente l’evento flirta, ma un campionario di deliranti stranezze. Piatti, vasi, fontane, pesci, lumache, serpenti, dalmati, donne, Buddha. C’è veramente di tutto, e poteva andare male. Ma non è stato così, anzi.

    Padiglione Lettonia. Foto ArtsLife

    AUTRALIA: Un padiglione che unisce video e musica in modo abbacinante. Un gigantesco schermo a LED e la musica noise che viene dalla chitarra di Marco Fusinato. Una performance musicale lunga 200 giorni portata avanti con lo strumento che, connessa a un circuito di amplificazione, innesca un diluvio di immagini. DESASTRES si nutre dunque di un aspetto performativo non indifferente,  che riconduce alla fatica della vita operaia che i genitori dell’artista hanno condotto una volta arrivati in Australia

    https://artslife.com/wp-content/uploads/2022/04/WhatsApp-Video-2022-04-23-at-14.15.16.mp4?_=1

    GRAN BRETAGNA: Sonia Boyce si avvale di una vasta gamma di fotografie, suoni e video per esaltare i contributi – finora poco riconosciuti – dei musicisti britannici neri alla cultura del loro paese. Nell’opera centrale di questo padiglione, un’installazione video intitolata Feeling Her Way (2022), cinque cantanti – Errollyn Wallen, Jacqui Dankworth, Poppy Ajudha, Sofia Jernberg e Tanita Tikaram – si incontrano per la prima volta nei famosi Abbey Road Studios per registrare insieme. Alle pareti visioni geometriche riflettono un ritmo trascinante. Ne risulta un’armonica contaminazione di generazioni e generi musicali. Boyce, la prima donna nera a rappresentare la Gran Bretagna, riesce a raccontare in maniera precisa l’importanza di una comunità incredibilmente unita e altrettanto trascurata.

    Padiglione Gran Bretagna. Foto ArtsLife

    SVIZZERA: Padiglione in tre atti per la Svizzera, che sorprende con un ambiente atmosferico e molto suggestivo. Uno spazio esterno, un interno immerso in una luce rossa e un ultimo avvolto dall’oscurità. In un ognuno di essi trovano spazio una serie di grandi sculture realizzate con il materiale di recupero delle Biennali precedenti. Teste e mani monumentali, senza volto ne caratteristiche, solo un’uniformità estetica misteriosa e agghiacciante. Si chiama The Concert ma tutto riposa assorto in un silenzio sospeso, all’interno del quale il visitatore gallegia tra le macerie che il fuoco, presente con le bruciature che sfregiano le opere, ha contribuito a realizzare. Le fiamme, elemento di distruzione e rinascita per eccellenza.

    Padiglione Svizzera. Foto ArtsLife

    DI DAVIDE LADONI in ArtsLive

    Foto ArtsLife

  • Una poderosa impalcatura concettuale militante per “ricollocare” il Padiglione della Germania: il progetto di Maria Eichhorn apre - e scava - nuovi spazi alla 59ma Biennale di Venezia

    …

    Il vuoto. E muri scorticati in piÚ punti, con mattoni rossi a vista, piÚ uno scavo profondo, fino alla fondamenta: cosÏ si presenta il Padiglione Germania di Maria Eichhorn al pubblico

    …

    la prima sensazione è di rimanere spiazzati e “a bocca asciutta”. Sensazione non nuova per chi conosce i lavori di Eichhorn. Artista affermata – come noto ha alle spalle, tra le altre, partecipazioni a documenta 11 e 14 – Maria Eichhorn (1962, Bamberga, vive a Berlino) è celebre per le sue raffinate operazioni concettuali.

    …

    Solo documentandoci apprendiamo infatti il significato di quei muri scorticati: un levare, uno scavare, per far emergere un pezzo di storia del Padiglione. L’eliminazione degli strati d’intonaco dai muri rende visibili i punti di giunzione tra la struttura originaria Padiglione Bavarese, eretto nel 1909 su progetto di Daniele Donghi, e il suo successivo ampliamento ad opera del regime nazista del 1938, che gli conferì l’aspetto attuale. La “nazificazione” ne stravolse i volumi, aumentò l’altezza, creò insomma uno spazio monumentale destinato a intimidire i visitatori e soffocare l’arte.

    La chiave va forse trovata nel titolo del contributo: “Relocating a structure”. Sembra che l’artista abbia spostato, “rilocato” il carico di contenuto più forte dell’opera fuori dal Padiglione e dalle sue mura fisiche.

    zoom diu Caterina Longo su Exibart

    l Padiglione della Germania

  • Immagini e video dal padiglione Uzbekistan alla Biennale Arte

    Un affascinante e sorprendente allestimento che prende spunto dalla figura di Muhammad ibn Musa al-Khwārizmī, gloria dell’Uzbekistan

    Dixit Algorizmi. Il Giardino della Sapienza, padiglione dell'Uzbekistan, Biennale Arte di Venezia 2022

    Dixit Algorizmi. Il Giardino della Sapienza, padiglione dell’Uzbekistan, Biennale Arte di Venezia 2022

    l’Uzbekistan partecipa quest’anno per la prima volta alla rassegna, dopo aver debuttato lo scorso anno alla Biennale Architettura. E a rappresentare le proprie istanze non chiama un artista, ma un personaggio storico i cui studi non potrebbero essere oggi più contemporanei.

    È stato un matematico, astronomo geografo persiano, riconosciuto come il padre dell’Algebra. Nativo della regione centroasiatica del Khwārezm, l’odierno Uzbekistan, visse circa 12 secoli fa a Baghdad. Dove fu responsabile della biblioteca, la famosa Bayt al-Ḥikma, la Casa della sapienza

    Dixit Algorizmi. Il Giardino della Sapienza è stato curato e progettato da Studio Space Caviar (Joseph Grima, Camilo Oliveira, Sofia Pia Belenky, Francesco Lupia) e da Sheida Ghomashchi. “Abbiamo concepito questo spazio come un luogo di meditazione ma anche di composizione”, sottolinea Joseph Grima. “In cui è possibile mettere in discussione l’ordine superiore delle cose e considerare la traiettoria delle storie di arte, scienza, tecnologia, filosofia e innovazione da nuove prospettive. Durante i sette mesi della Biennale d’Arte, artisti, studiosi, storici, scienziati, scrittori e filosofi saranno invitati ad affrontare la possibilità di modernità alternative. Non tanto cercando di sostituire l’immagine attuale della modernità, quanto di espanderla riconoscendone le origini profonde, in tempi e luoghi lontani e inaspettati”.

    di Massimo Mattioli in ArtsLife

Artoddo

Licia Oddo :

Email: dott.feliciaoddo@gmail.com

Jorge Facio Lince :

Email: giorgio.facio-lince@email.it

Accedi/Registrati

  • Registrati
  • Accedi
  • Feed dei contenuti
  • Feed dei commenti
  • WordPress.org

Archivi

Categorie

Š Copyright - Artoddo - Webmaster Luzzardi Manuela mondoperle@gmail.com - Enfold WordPress Theme by Kriesi
Collegamento a: Achille Lauro diventa il David di Michelangelo. Collegamento a: Achille Lauro diventa il David di Michelangelo. Achille Lauro diventa il David di Michelangelo. Collegamento a: Semplicemente una donna Collegamento a: Semplicemente una donna collana-preziosa-regina-elisabetta-collana-nizam-di-hyderabad-2-PA PA IMAGES GETTY IMAGESSemplicemente una donna
Scorrere verso l’alto Scorrere verso l’alto Scorrere verso l’alto
Questo sito Web usa i cookie . Cliccando su “Accetta tutto” acconsenti all'uso di tutti i cookie.
Cookie SettingsAccetta tutto
Manage consent

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary
Sempre abilitato
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
CookieDurataDescrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics11 monthsThis cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional11 monthsThe cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary11 monthsThis cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others11 monthsThis cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance11 monthsThis cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy11 monthsThe cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytics
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.
Others
Other uncategorized cookies are those that are being analyzed and have not been classified into a category as yet.
ACCETTA E SALVA
error: I contenuti di questo sito sono protetti da copyright